6 Novembre 2024
Foggia Calcio Storia

Foggia Calcio 100 – La storia del centenario: “Toneatto: il sergente di Piangastagnaio” (di Domenico Carella)

Foggia Calcio 100 – La storia del centenario: “Toneatto: il sergente di Piangastagnaio” (di Domenico Carella)

La storia dei cento anni del Foggia Calcio attraverso i libri di Domenico Carella. Oggi tocca a Lauro Toneatto, il sergente di ferro che correva avanti ai suoi ragazzi

[dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]A[/dropcap]llenatore del Foggia 1972-1973 fu Lauro Toneatto, Friulano di nascita ma senese d’adozione. Giocò con la maglia del Siena per otto stagioni distinguendosi come difensore arcigno e ruvido. Da tecnico, la rigidità negli allenamenti gli valse il soprannome di “sergente di ferro”. Il Foggia decise di andare in ritiro nelle terre care a Toneatto, più precisamente a Piancastagnaio, un piccolo centro in Toscana a due passi dall’Umbria e dal Lazio ma con le radici ben salde nell’affascinante provincia di Siena. Si partì l’1 Agosto. Toneatto non mancò di far sentire sin da subito ai suoi ragazzi la durezza dei suoi metodi. Appena giunti in ritiro improvvisò una seduta di allenamento. Quando ormai erano scoccate le 18 il Foggia era ancora nei freddi boschi per un po’ di corsetta ed alcuni esercizi ginnici. Rimane nell’immaginario collettivo della squadra la ripidissima salita di scalini che s’inerpicava fino a non vedersi più tra i castagni. Un tormento. Ma si sarebbe solo trattato dell’antipasto, di un assaggio del metodo del sergente di ferro. Il giorno dopo venne stilato il calendario dei lavori in ritiro: Ore 7 sveglia; ore 7,30 footing per i boschi; ore 10,30 rientro in sede, doccia e massaggi; ore 12 colazione e riposo; ore 15,30 altra sveglia; ore 16 parte atletica sul manto erboso del comunale; ore 18 doccia e massaggi; ore 19 cena; ore 20 passeggiata in paese con un’ora e mezza di libertà; Ore 21,30 tutti a letto.

Un programma serrato che “Calimero” Villa commentò così sulle pagine de La Gazzetta del Mezzogiorno: «Sembriamo tanti neri d’America dell’epoca del proibizionismo: crepiamo di fatica, desideriamo tutto e tutto ci è vietato. Ma con questo lavoro da… bagno penale, chi avrebbe la forza di alzare un dito?», L’aria pulita e la quiete di Piancastagnaio evoca immediatamente felici ricordi a Lino Rabbaglietti che ancora oggi conserva nel suo studio numerose fotografie, ritratto indelebile di quei momenti felici. Lino ricorda: «Ogni mattina Lauro predisponeva otto chilometri di corsa per i suoi uomini. Una mini maratona da percorrere nei boschi tra saliscendi, cespugli ed alberi d’ogni tipo. Toneatto, petto in fuori e passo cadenzato, guidava il gruppo correndo senza tradire alcun segno di fatica come a ribadire la sua leadership sullo spogliatoio. Tutti provavano ad evitare la stancante sessione d’allenamento. Il più simpatico nei suoi goffi tentativi di marcar visita era l’argentino Juan Carlos Morrone (il secondo da sinistra in piedi nella foto di apertura del capitolo). “Mister, oggi ho una vacca sulla testa, non la mato, mi sento pesante”, diceva in un misto tra italiano e argentino». Morrone si presentava al tecnico con una piccola statuina tra i ricci dei suoi capelli. Si trattava della rappresentazione della “Mucca Carolina”, personaggio molto in voga durante Carosello. Toneatto era il destinatario di quel messaggio: «Quando lo vedevo con la statuina in testa già sapevo che non aveva voglia di allenarsi. Predisponevo per lui solo dei massaggi».

Il “tre ruote” di Pirazzini, Bruschini e Colla
L’occasione per evitare il lavoro arrivò grazie ad un’intuizione dei “soliti noti”: Pirazzini, Bruschini, Morrone, Cimenti, e Colla. «Un giorno, al termine dei rituali otto chilometri mattutini – ricorda divertito Gianni Pirazzini -, ci rendemmo conto che un camioncino ci seguiva sulla strada del ritorno». Fin qui niente di strano, anche perché il passaggio di quel piccolo mezzo di locomozione era del tutto casuale, legato magari alla consegna di alcuni pacchi per gli esercizi commerciali. Un transito casuale, dicevamo, ma “sistematico”. Tanto bastò per far scoccare la scintilla nella mente dei rossoneri. «Il mattino seguente – continua Pirazzini -, come succedeva ormai da giorni, la squadra partì per percorrere i consueti ottomila metri. Dopo i primi tre chilometri di corsa il gruppo arrancava alle spalle del tecnico Toneatto, ma le sofferenze durarono poco. Giunti nei pressi del camioncino i calciatori silenziosamente deviarono il loro percorso saltando sul mezzo». Il giochetto era semplicissimo: i calciatori si lasciavano trasportare dal camioncino per almeno tre chilometri, mentre lo stakanovista Toneatto continuava impettito la sua corsa verso il traguardo, come solo un sergente di ferro poteva fare: da solo davanti a tutti a battere il ritmo. «Era semplicemente incredibile – prosegue lo storico capitano rossonero – era più grande di noi ma si piazzava in prima posizione e ci rimaneva fino all’arrivo. “Ma come fa questo qua?”, ci chiedevamo nello spogliatoio. E’ ancora oggi un mistero come facesse a correre più di noi che avevamo dieci o quindici anni in meno».

Le regole, si sa, più sono strette più è bello infrangerle. Quelle di un uomo tutto d’un pezzo come Toneatto, per i rossoneri di quei tempi, doveva esserlo ancora di più, tanto che qualche innocua “biricchinata” si tramutò rapidamente in beffa, come ricorda Lino Rabbaglietti: «stipati come sardine sul piccolo vano posteriore del camioncino, i calciatori raggiunsero a tutta velocità una fontana posta a due passi dall’arrivo. Si bagnarono in fretta e furia viso e vestiti per simulare una copiosa sudata e raggiunsero Lauro che seguitava la sua corsa a testa alta e passo svelto. Nel più totale silenzio gli si accodarono, per poi superarlo di slancio a pochi metri dal traguardo. La sorpresa del tecnico era evidente: “e voi? Da dove sbucate fuori? Non vi ho visto dietro di me, mi sono voltato più volte!” sentenziò stupito l’allenatore. “Come, cosa dice, eravamo lì. Lei è fuso. Ha corso troppo”, era l’innocente risposta della comitiva rossonera». La bricconata durò poco tempo. Toneatto cominciò subito ad insospettirsi controllando con il cronometro il tempo di percorrenza del percorso, troppo spesso altalenante. Bisognava trovare una soluzione. «E non era affatto semplice – mi raccontò Lauro un anno prima della sua morte -. Il calcio di quei tempi era molto diverso. Non avevo un preparatore atletico a mia disposizione. Quando ho cominciato a capire che qualcosa non andava ho messo alcune persone di fiducia nei punti strategici del percorso».

TRATTO DA: Diavolo di un satanello, Il Castello Edizioni, 2010. AUTORE: Domenico Carella

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