[dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]I[/dropcap]n principio era la promozione. Un’ossessione che brucia. Un incubo materializzatosi nel pomeriggio in cui Ringhio ruggì in faccia ai sogni di una città in lacrime. Il suo condottiero, oggi intrappolato nelle forche caudine sannitiche, non resistette al favonio d’agosto e si frantumò come le certezze granitiche di una tifoseria visceralmente legata al suo “Masaniello” bresciano.
Lo sconforto trovò ricovero però nello sguardo fiero e nell’educazione specchiata di uomo della Bassa Padana, che a Foggia aveva già dipinto calcio toccando anche i vertici azzurri: Giovanni Stroppa. Che, peraltro, non arrivò in Capitanata con le stimmate del predestinato. Sudò per conquistarsi rispetto e affetto. Sino a che la tormenta Fondi non flagellò l’entusiasmo di un popolo che si ribellò al destino avverso con una pioggia di fischi, assordanti quanto il silenzio di una speranza che muore.
Era appena l’inizio di dicembre e sembrava già tutto finito… ma qualche giorno dopo arrivò il primo segnale che il vento era cambiato. Che le stilettate di Varone, Calderini (“Quoque tu…”) e Albadoro non avrebbero inferto una ferita mortale alla truppa rossonera. Si giocava Melfi-Foggia. Non c’era domani. Vincere o sarebbe stato il buio. Totale. Con il frullatore del “totoallenatore” già a macinare sostituti e ingaggi. La cronaca di quel match è stampata nella memoria di chi “trasuda” liquido rossonero, sino all’apparire di un nome che ha mutato il corso della storia: Alessandro De Vena. Un rigore contro al 36’ della ripresa, un tunnel oscuro. Poi la luce, il palo amico. È la resurrezione: il tap in di Sarno all’88°, la pennellata di Sicurella nel recupero. “3-1 e tutti a casa”… La sliding door che ipoteca il futuro.
Come la trasferta del 25 febbraio successivo ad Agrigento. Non una partita decisiva certamente. Il vento impetuoso della riscossa già sferzava i campi impossibili della Lega Pro. Però, anche lì – tra i rimbalzi impazziti dell’Esseneto – si realizza un’altra nemesi. Di nuovo un penalty fallito, stavolta da Mazzeo. Pareva l’ultima occasione per i tre punti. In altre epoche sarebbe finita 0-0 con il Lecce che scappa e un vagone carico di rimpianti pronto a riprendere la via verso la Capitanata. E invece sempre all’88° (come il gol di Sarno a Melfi) Fabio si dimostra quello che è… un giocatore fuori dalla media: imbriglia il pallone e lo accarezza con il mancino. La respinta della traversa è solo il preludio alla goduria firmata Di Piazza, il grande ex che va sotto la curva e scala gli spalti in un ideale abbraccio con tutti i foggiani giunti in terra siciliana.
La via è oramai tracciata. C’è il Lecce, il bolide di Tommy, Peppino Baldassarre che con un filo di voce invoca “Mamma…”, l’ultimo ostacolo annientato. È serie B. Arriverà il 23 aprile, a Fondi. Si compie il destino dei satanelli, proprio contro chi aveva attentato qualche mese alla buona riuscita dell’opera. E comincia così un’ulteriore sfida.
Una parola, un mantra: salvezza. Dopo 19 anni il diktat è perentorio: conservare la categoria. Impresa semplice? Mica tanto. Pescara, Avellino, lo “scempio” di Cesena davanti ai 4.000 innamorati del Manuzzi, il ko con la Cremonese con terremoto tecnico annesso, l’1-1 con la Ternana che recapita l’infortunio di Mazzeo. Siamo arrivati al momento più duro: Bari, Cittadella e Spezia. Tre sconfitte: il terrore che monta.
Arriva il Venezia di super Pippo: una corazzata in Lega Pro, una solida realtà in «B». Il figlio d’arte Zigoni impone la sua legge: 0-2 e lo Zaccheria s’imbufalisce. Il baratro è lì, Stroppa è sulla graticola: l’inferno rossonero che inghiotte i suoi eroi. Ma ecco l’episodio, anzi il doppio episodio. Perché mentre lo scorrere dei minuti infierisce su una squadra in confusione, Marcello Falzerano si divora il 3-0 spedendo sul palo la palla dell’Amén.
Un segno “dall’alto”. Falzerano è un ragazzo di Pagani, la stessa città dove si è affermato Deli, ancora a secco nella sua 1ª stagione nella cadetteria. Ci mette il piedone Beretta e fa 1-2. Poi va in scena la mistica che squarcia il cielo di via Gioberti. Un pallone buttato in area all’ultimo respiro. La spizzata di Loiacono e Ciccio che fa 2-2! Senza quella rete, accompagnata peraltro da sberleffi più che da grida di giubilo, che ne sarebbe stato del campionato del Foggia? Stroppa avrebbe resistito al 4° ko di fila e alla contestazione di un pubblico angosciato dal fantasma della «C»? “La vera svolta c’è stata con il Venezia”, ha confessato in conferenza stampa fa Davide Agazzi. Ed è vero: la rinascita parte proprio dal 15 dicembre. Da quel gol di Deli al 94°… minuto che qualche giorno fa, però, ha assunto un altro significato. La macchina del tempo ci porta a venerdì scorso, 16 marzo: dal 21 gennaio ci sono state 5 vittorie e 3 sconfitte.
Da Kragl a Tonucci, da Greco a Duhamel, la rivoluzione del mercato ha saturato i grassi malvagi della paura. Obiettivo 50 punti, agevolmente raggiungibile malgrado Perugia e il sig. Pillitteri. Allo Zaccheria scende il Cesena di Chiricò e Castori. Non una prestazione memorabile. Il solito errore difensivo, il solito cross di Kragl, il solito cuore del capitano Agnelli. Poi il nulla e una gara che si trascina stancamente verso l’1-1. Romagnoli mantenuti a distanza e traguardo dei 50 punti sempre più vicino. Per guardare lassù però serve qualcosa di nuovamente magico. Tocca a lui, al bomber, che scippa la sfera a Fulignati e veste il diavolo dei colori dell’estasi.
Mazzeo al 94°: una sentenza. Fabio 10 e lode. Del resto, lui è uno “diferenciado”, anche quando gioca al 50%. I racconti della gente sono già romanzo epico. C’è chi piange, chi s’inginocchia, chi sfonda il muro del suono dei decibel canori. Un gol, una vittoria. Uno spiraglio che si apre. Non più solo la salvezza. Se son rose fioriranno… magari dopo Parma, Pro Vercelli ed Empoli. Con l’incognita del “commissario”, la novità delle ultime ore in casa Foggia. Un inedito per il calcio, una novità per un club unico, la cui storia recente è stata scritta in punta di “suspense”. Dal palo di De Vena al gol di Fabio Mazzeo, sino al dottor Giannetti…