[dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]C[/dropcap]hiamatelo sombrero. Per i brasiliani “chapéu”. Un gioco di prestigio. Un’espressione di “artistica” sicurezza. O forse semplicemente un pizzico di follia che invade chi è in piena fiducia. In controllo di piedi ed emozioni. E che si permette anche il carpiato rovesciato per accompagnare il pallonetto elegantemente stampato in faccia al Picchio ferito. Alessandro Celli ha griffato la sua prestazione capolavoro di Ascoli così: con un sombrero in una zona di campo dove sbagliare significa scatenare l’adrenalina dei patimenti.
“Sono uno più di quantità che di qualità”, aveva affermato a luglio scorso quando insieme a Calderini e Fedato si era presentato al pubblico foggiano. “Un pubblico non facile, una piazza difficile”, avrebbe confessato qualche mese più tardi, all’indomani dell’esordio di Vercelli. Umiltà e personalità, tutto condensato in una smorfia di «ponentina» leggerezza. Dalla Capitale al litorale laziale, a Ostia, 300mila abitanti e una triste notorietà mediatica: nasce lì la parabola calcistica della nuova «sensazione» del Foggia calcio, in quell’Ostiamare dove mosse i primi passi anche Daniele De Rossi, oggi a un nulla dalle 120 presenze in nazionale.
“Non si discute dal punto di vista tecnico ma non è pronto a giocare al 100%”, aveva detto di lui Stroppa nella conferenza prima di Foggia-Parma. La maglia rossonera pesava come un macigno per uno che veniva dalla Lupa Roma, un club che “(…) non ha fatto calcio a grandi livelli. Di pubblico ne avevamo zero, solo i nostri genitori”, secondo le parole del ragazzo che ha rilanciato l’out sinistro dei satanelli, penalizzato dai problemi di Rubin e dal “fuori ruolo” di Loiacono.
La fascia mancina è il suo giardino di casa, coltivato con profitto sin dai tempi della Nuova Tor Tre Teste, altra fucina di talenti della zona Sudest di Roma, da dove spiccò il volo verso i Castelli, a Frascati in un torneo – l’Eccellenza – da cui ha imparato molto, giocando su terreni e in situazioni difficili, che ne hanno massificato il carattere ed esplorato i sogni più reconditi. Come quello di approdare in serie B, là dove “(…) molti giocatori vorrebbero stare”, tanto per ribadire che lui non molla di un centimetro, che è a Foggia per “(…) lottare per la maglia e dimostrare all’allenatore che può farmi giocare”.
E Giovanni Stroppa ha assecondato il suo numero 28 gettandolo nella mischia a Vercelli, in una partita nella quale “(…) chi sbagliava pagava”. Prestazione ottima, ripetuta contro la Cremonese, malgrado la mareggiata che ha investito la Capitanata dal 40’ al 56’. Il migliore contro i grigiorossi e la conferma, scontata, ad Ascoli. Dove le turbolenze di una settimana complicatissima sono state spazzate via dal 2-0 ai bianconeri, dalla porta di Guarna “illibata” dopo sei mesi, da quelle corse forsennate verso la curva dipinta di rossonero e da un sombrero, anzi uno “chapéu”, nel più puro stile brasiliano, in un modo tanto caro a Marcelo, il fenomeno madridista a cui Alessandro Celli ha fatto cenno di ispirarsi.