[dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]U[/dropcap]n epilogo mesto, triste. Come lo svedese di Foggia, Jonas Axeldal, autore di uno dei due gol di quella partita. Si chiuse contro l’Ancona allo Zaccheria l’avventura dei rossoneri in serie B. Era il 14 giugno 1998 e un rigore di Vukoja (assegnato dal sig. Rosetti, divenuto poi uno dei fischietti più autorevoli d’Europa) sancì il 2-2 in rimonta che certificò l’addio rovinoso alla cadetteria. I dorici fecero compagnia ai satanelli, assieme a Padova e Castel di Sangro.
A Castello però si è rivista la luce. Si è sudato, sgobbato, sotto l’occhio vigile di Giovanni Stroppa. Estate 2017, diciannove anni dopo. L’eternità in un click della memoria. In quella stagione nuotò nel mare agitato della «B» anche il Delfino, al secolo «Pescara calcio». Ecumenico il doppio confronto: 1-0 dauno a via Gioberti il 5 ottobre ‘97, 1-0 abruzzese in riva al mare l’8 marzo ‘98. Proprio il Pescara, e lo stadio Adriatico, battezzano l’attesa rinascita.
La nemesi dipinta dal purgatorio delle classi inferiori. Da dove nemmeno il profeta del sensazionalismo di Capitanata, Zdenek Zeman, riuscì a tirare fuori il satanello nel 2010/11. Ma Zdengo c’è sempre, non solo nei filmati griffati “Mai dire Gol”. Ci sarà anche domenica prossima, 27 agosto 2017, ore 17.30. Si scrive l’epica della rivincita.

Sulla panchina del Delfino ancora lui, il boemo di ghiaccio, imbolsito solo in una carta d’identità non più vergine come ai tempi di Ciccio e Beppe, di Igor e Rambo. Gli hanno affidato una banda di ragazzini, come piace a lui. A Roma, sponda giallorossa, mandò in campo Romagnoli e Marquinhos, oggi nazionali d’Italia e Brasile, quando avevano 18 anni. O forse meno.
Gli stessi di Edgar Elizalde, uruguagio classe 2000, un mancino naturale portato in Italia dal fratello del matador Cavani, sedotto dal Delfino a maggio (con la benedizione proprio di Zdengo e di Peppino Pavone, che al Pescara sta regalando gli ultimi scampoli di un talento “olfattivo” purissimo) e acciuffato – malgrado le avanches di Leicester, Spal, Sassuolo e Milan – ad agosto: 300mila euro per il prestito dai Wanderers Montevideo, due milioni per il riscatto. Sprazzi di amichevoli per lui, ma la certezza di aver incrociato nella carriera un funambolo delle panchine, uno che ti butta nella mischia anche se “puzzi ancora di latte”.
Era appena svezzato, dal canto suo, Ferdinando Del Sole quando approdò al Delfino. Era il 2012, l’anagrafe diceva 14 anni. La carta d’identità vergava data e luogo di nascita: 17 gennaio 1998, Napoli. Quartiere Barra, vicino a San Giovanni a Teduccio, la casa di Totonno Juliano, un mito partenopeo. Primi calci alla scuola Centro Est, un provino per il Pescara e la consapevolezza che quello era il club giusto per far germogliare la sua luce. La luce… Del Sole, una coppa Italia agostana da divo della pedata: esordio gol nel pirotecnico 5-3 alla Triestina, due prodezze nel 3-1 al Rigamonti di Brescia, match nel quale i biancazzurri erano così schierati:
Lo scugnizzo che adora Bernardeschi e Di Maria (per il quale il patron Sebastiani ha rifiutato un’offerta di 5 milioni di euro e che contro i satanelli sarà osservato da un emissario del PSG) aveva già annusato la 1ª squadra con Oddo nella passata stagione, qualche scampolo di esperienza, giusto il tempo di scambiare la maglia con un altro suo punto di riferimento, Saponara.
Mezzala negli Allievi Nazionali e all around offensivo nella Primavera, agirà da esterno destro nel dogmatico 4-3-3 di Zeman, che gli ha affiancato un altro giovane rampollo, Christian Capone, atalantino classe ’99, per formare la coppia di “alette” più sbarbate del torneo. In mezzo si contendono un posto Stefano Pettinari e Simone Ganz, proprio il figlio di Maurizio, uno dei sogni estivi del Foggia.

In Capitanata non è voluto scendere, forse per non fare la riserva a Mazzeo, dopo una stagione veronese trascorsa a elemosinare minuti da Pazzini. A Pescara è arrivato convinto da un quadriennale e da una titolarità più facile da agguantare (almeno nelle previsioni!). L’anno scorso aveva sporcato l’ultima partita come tecnico del Foggia di De Zerbi con il gol – all’esordio con l’Hellas – del 2-1 finale con cui i gialloblù eliminarono i satanelli dalla Coppa Italia.
Simone, che Allegri fece debuttare in Champions con il Milan nel 2011, ha tentato l’all in Juve dopo l’esplosione di Como (31 reti in 75 presenze e una promozione in «B» ottenuta praticamente in solitudine), ma ha preferito poi essere ceduto a titolo definitivo salutando agli albori il miraggio bianconero.
Per la gioia di Zdenek, che con il bianconero – almeno quello della Vecchia Signora – non ha mai avuto un gran feeling e che l’ha accolto al Delfino con serafica soddisfazione. La stessa che proverà nell’incontrare sull’altra panchina il suo allievo Stroppa e nel vedere correre in campo undici ragazzi in rossonero. Non più i suoi, ma pur sempre i suoi.
Perché Zeman a Foggia attraversa il tempo. È come un tatuaggio inciso sul braccio scorticato di un popolo ribelle…