[dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]U[/dropcap]na storia quasi leggendaria. Come quella frase rimasta nel tempo un’icona radiofonica: “Clamoroso al Cibali”. Era il 4 giugno 1961 quando la voce rugosa di Sandro Ciotti santificò con quell’espressione l’impresa del Catania che aveva sconfitto l’Inter di Herrera. Si giocava allo stadio Cibali, così chiamato dal nome del quartiere dove era stato costruito più di venticinque anni prima.
Un impianto dal 2002 dedicato al compianto “presidentissimo” Angelo Massimino, quello che voleva comprare l’amalgama al mercato e che incise una perla dialettica ancora impressa nella memoria dei giornalisti siciliani: “Sto andando in un paese che non vi dico a comprare due campioni brasiliani”. I due in questione erano Luvanor e Pedrinho, gli emblemi di un Elefante che era appena tornato a “barrire” in serie A.
Ma a noi che viviamo a latitudini differenti, cosa può interessare delle evoluzioni semantiche di un impianto catanese? All’apparenza nulla, se non fosse però che in quello stadio, in quella città, il Foggia non ha mai vinto. Ecco quindi che leggende per altri lidi diventano una fiche corposa da gettare sul tavolo di “Attenti a quei due”. Che non può trascurare questi dati: 17 trasferte in Sicilia per il satanello e nessun successo a fronte di 4 sconfitte (che diventano 8 se si aggiungono i 4 scontri diretti tra il ‘35 e il ‘42 quando i rossazzurri si chiamavano SS Catania e Associazione Fascista Calcio Catania) e 13 pareggi, di cui 12 per… «0-0» (il Foggia è in assoluto l’avversaria contro cui gli etnei hanno ottenuto più risultati bianchi, 17, contro i 14 nelle sfide con il Messina e i 13 in quelle con il Palermo).
Nelle vicende di questo confronto balza alla mente il nome di Antonio Bordon, autore delle uniche due reti rossonere a Catania dal ‘48/49, realizzate nel doppio ko per 1-2 delle stagioni ‘81/82 e ‘82/83. Prima e dopo il nulla offensivo, nemmeno De Zerbi è riuscito lo scorso anno a schiodare lo «zero» nei gol fatti e nelle vittorie: domani ci proverà il suo erede Stroppa, che di nome fa Giovanni, come Pulvirenti, da due settimane nuovo tecnico del Catania.
Prima di lui Rigoli e Petrone, dimessosi dopo appena tre partite alla guida dell’Elefante (tre allenatori in una stagione sono un inedito per Lo Monaco). Pulvirenti ha incassato sinora due stop: 0-1 a Lecce e 1-2 a Pagani, incontro nel quale ha schierato i suoi così:
Il 4-3-3 scelto per il match del Torre (nel quale gli etnei hanno ritrovato comunque il gol che mancava da 252’, incassando però la 3ª battuta d’arresto di fila, cosa che non succedeva da due anni) è dipeso anche dalle assenze di Djordjevic ma soprattutto di Mazzarani (squalificato), il bomber dei rossazzurri con 7 reti all’attivo.
Il ragazzo lanciato dalla Cisco Roma aveva firmato a luglio 2016 un biennale con il Crotone, ma poi il club pitagorico neopromosso in «A» gli ha dato il benservito già in estate e lui ha preferito rescindere invece di accettare l’umiliazione di allenarsi senza giocare. E così Lo Monaco lo ha agguantato (bruciando la concorrenza del Matera) facendogli sottoscrivere un accordo sino al 2018. Nella bacheca della mezzapunta classe ’89, ci sono un selfie con Leo Messi, un gol in «A» con il Novara e una maglia celebrativa per le 100 presenze con il Modena, club dove ha scritto le pagine più belle della carriera.
Sulla carta d’identità c’è il suo nome di battesimo, Andrea, lo stesso di Di Grazia e Russotto, altri due da tenere d’occhio. Un “bambino prodigio” (su di lui ci sono Milan, Chievo e Sassuolo) e un ex… “bambino prodigio” (ai tempi delle giovanili della Lazio era considerato un vero fenomeno): eccoli Di Grazia e Russotto.
Il primo, catanese doc, ha sgambettato nella scuola calcio “La Meridiana” prima di fare tutta la trafila nelle categorie di base rossazzurre sino alla Primavera (dove è stato allenato dal suo attuale mister Pulvirenti); il secondo, esploso in quel lembo di provincia romana dove anche il vostro umile blogger è cresciuto, ha partecipato alle Olimpiadi del 2008 con l’Italia sostituendo un infortunato illustre, Claudio Marchisio. È dunque il fattore “Andrea” il secondo da considerare per Catania. L’ultima salita, forse, in vista del traguardo che il Foggia vede finalmente all’orizzonte dopo 19 anni di scalate fallite!