Nella Prima Divisione Unica di Lega Pro, dopo il completamento delle procedure di ripescaggio, è stato infine ripristinato il format federale a 60.
Pur nell’oscuramento mediatico che grava sulla terza serie nazionale, i pochi addetti ai lavori che si occupano di questa categoria hanno interpretato il risultato come una sorta di rivincita personale del presidente Gabriele Gravina (sostenitore tetragono dei tre gironi a venti squadre).
Il format non si è sgonfiato, come era nelle (fosche?) previsioni di talune testate tra le quali anche Calciopress, ma è stato pompato in modo artificioso. Potrebbe trattarsi di un’opinione non suffragata dai fatti ma anche, perchè no, di una vittoria di Pirro.
Un format deve essere innanzitutto sostenibile. In assenza di questa prerogativa la fuffa finisce per prevalere. Il fatto è che l’insostenibilità di una Serie C a 60 è stata più volte sottolineata dal presidente della Figc, Carlo Tavecchio, oltre a essere dimostrabile numeri alla mano.
In otto anni, dal 2008 al 2016, l’organico della Lega Pro istituita dall’ex presidente Mario Macalli si è ridotto da 90 a 48 squadre. Nell’anno della riforma era a 90. Crollò a 60 nella stagione 2014-15 e poi a 54 nel campionato 2015-16. Quest’anno solo 48 club sono stati ammessi dal Consiglio Federale al termine delle regolari procedure di iscrizione. Circa la metà delle società, in questo lasso di tempo, ha alzato bandiera bianca.
Il risultato finale dei ripescaggi per riportare l’organico a 60 è che il 20% dei club ai nastri di partenza (12 su 60) non hanno conquistato tale diritto grazie ai risultati del campo (…non ce ne vogliano i tifosi delle squadre ripescate). Una vera e propria abnormità sotto il profilo sportivo, tutta e solo italiana.
Lo scriviamo da lustri e non possiamo che ripeterci. La disperante attesa di un modello italiano che sappia ricalcare il meglio dei modelli continentali già esistenti, con l’aggiunta delle nostre peculiarità, resta un’utopia confinata nel libro dei sogni.
Una vera iattura per quei pochi tra gli addetti ai lavori che, ancora e nonostante tutto, continuano a credere nel ruolo fondante di questa categoria. E, intanto, tempus inesorabile fugit.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net