[dropcap color=”#888″ type=”square”]U[/dropcap]n campionato di Serie D vinto a Massa. Tre promozioni in Serie A con le maglie di Genoa, Pistoiese e Catania. Pier Giuseppe Mosti è stato uno dei difensori più forti a cavallo degli anni ’70 e ’80. L’unica ombra in una carriera fatta di successi e brillanti stagioni in Serie A è stata Foggia nel 1985-1986. Sotto la gestione di G.B. Fabbri e con una squadra composta da grandi nomi, i rossoneri non riuscirono a vincere il campionato di Serie C e si salvarono solo nelle ultime giornate. Chiusa la carriera di calciatore a Massa (dove fino a qualche settimana fa ha lavorato nel ruolo di tecnico della Juniores), Mosti ha iniziato a muovere i primi passi in panchina ad Agrigento in una stagione dal sapore Agrodolce. Lui, dunque, è il doppio ex della sfida di domenica tra i rossoneri e gli agrigentini. La redazione di www.foggiasport24.com lo ha contattato per ascoltare il suo punto di vista.
Mosti, partiamo dai ricordi. Quello di Foggia, probabilmente, non rientra tra i più felici. Come mai?
«Perché fallimmo incredibilmente l’obiettivo. Fabbri mi volle fortemente a Foggia, mi aveva già allenato due anni a Catania. Mi chiamarono Bronzetti e Lioce e mi prospettarono un progetto meraviglioso per riportare il Foggia in Serie A. Io in massima serie ero appena tornato con gli etnei, ma accettai con entusiasmo di tornare in Serie C. La rosa era composta da nomi altisonanti, un lusso per la categoria. Avremmo dovuto vincere il campionato a mani basse. Poi qualcosa non andò per il verso giusto».
Quale fu secondo lei il problema?
«Il problema era essere una grande squadra. Non abbiamo mai fatto spogliatoio. E’ mancato il gruppo. Ognuno aveva una grande carriera alle spalle e si sentiva migliore dell’altro. C’erano solo prime donne e nessuno ha mai avuto l’intelligenza e l’umiltà di mettersi a disposizione della squadra. In quel marasma solo Mastalli e Messina riuscirono a mettersi un po’ più in evidenza degli altri».
Qual è stato il momento più brutto?
«Sicuramente l’esonero di Fabbri e l’arrivo di Viciani. Con lui le cose sono addirittura peggiorate. In un gruppo difficile come il nostro sarebbe servito qualcosa di diverso».
Quanto le dispiace aver fallito l’obiettivo in quella stagione?
«Sono sincero. Con questa intervista abbiamo riaperto una ferita molto dolorosa per me. Ancora oggi mi ritrovo a pensare e a chiedermi come abbiamo fatto a non essere promossi con una squadra del genere. Bastava giocare un po’ per vincere tutte le partite, invece nessuno è riuscito ad esprimersi a dovere».
Il ricordo di Agrigento invece è diverso?
«Sì. Con l’Akragas ho iniziato la carriera da allenatore dopo diverse stagioni nel settore giovanile. Eravamo in C2 e per tanti mesi siamo stati in vetta alla classifica. Poi, nel momento più importante della stagione, la società patì numerosi problemi, anche giudiziari e la squadra prima scivolò al quarto posto. Successivamente venne addirittura radiata per un problema con le fidejussioni. Ricordo che i calciatori venivano gratificati solo con i rimborsi spesa e si facevano le collette per pagare il pullman per le trasferte. Ma la forza di quella squadra, al contrario di Foggia, era il gruppo. Ecco, se avessimo avuto una società come quella di Lioce avremmo vinto il campionato. Oppure se Lioce avesse avuto quel gruppo di calciatori il Foggia sarebbe andato sicuramente in Serie B».
Chi ricorda di quella squadra?
«Tutti. Nuccio e Petrucci in attacco. Catalano, Ardizzione… era un gruppo fantastico. Per problemi economici ci salutavamo la domenica sera dopo la partita e ci ritrovavamo il venerdì per allenarci. Poi andavamo in campo e vincevamo».
Tornando ai nostri giorni, riesce a seguire il campionato di Lega Pro?
«Cerco di informarmi attraverso i giornali. L’Akragas è partito bene ma nelle ultime giornate sta facendo fatica. Il Foggia, invece, è partito per vincere ma niente è scontato. Ve lo posso assicurare. Soprattutto in un campionato come questo».
La sua storia in rossonero insegna?
«Sì, ma non solo quella. Basta leggere i nomi delle squadre che compongono il girone. Catania, Messina, Lecce, Foggia… tutte squadre blasonate. Sembra di giocare una piccola Serie A. Per loro, però, la Lega Pro è un ostacolo difficilissimo da superare. Più una squadra è blasonata più gli avversari le affrontano con il massimo impegno. Per intenderci tutti giocano alla morte contro il Foggia».
Qual è il segreto per scappare dalla Lega Pro?
«Servono continuità di gioco e risultati e bisogna stare sempre all’erta per evitare difficoltà e trabocchetti. Bisogna sempre essere convinti che l’avversario contro i rossoneri farà la partita della vita».
In conclusione, cosa spera per la partita di domenica?
«Rimango neutrale e auspico che vinca il migliore. Foggia è il rammarico più grande della mia carriera perché accettai con grande piacere di vestire la maglia rossonera. Ricordo con grande simpatia Vittorio Cosimo Nocera, secondo di Fabbri. L’Akragas, invece, è stato il mio trampolino di lancio come allenatore. Tuttavia mi sento di auspicare il ritorno del Foggia nel calcio che conta. La città e la tifoseria meritano la Serie B».