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DI DARIO RONZULLI – Sono giornate particolari in casa delle due squadre milanesi. Sul campo ma soprattutto dietro le scrivanie. Per motivi diversi, va da sé: ma quello che sta accadendo rischia di essere davvero un passaggio storico per Inter e Milan e, di riflesso, per il calcio italiano.
Dal 15 ottobre scorso, Erick Thohir possiede il 70% delle quote dell’Internazionale F.C. che dunque tiene fede al suo nome non solo per i giocatori stranieri. Di questo imprenditore indonesiano si sa ormai tutto, a furia di interviste esclusive (poi con calma dovremo tornare sul termine esclusiva, che in questi ultimi tempi non significa più nulla…) e di tweet dello stesso Thohir, che peraltro mostra di avere gusti particolari in fatto di autovetture come dimostra la foto a corredo di questo articolo. Quello che non sappiamo è cosa cambierà in concreto per il club nerazzurro.
Ok, l’uomo venuto dal Sud-Est coprirà i debiti e non è poco. Viene per investire e guadagnare, non certo per buttare soldi dalla finestra. Ha esperienze nel mondo dello sport ad alto livello di business, con riferimento soprattutto all’NBA. Tutto molto bello, ma le domande sono tante. Ad esempio: che ruolo avrà Moratti? Al di là del 30% ancora in suo possesso, non è ragionevole chiedere a chi ha guidato nel bene e nel male l’Inter in quasi 20 anni di farsi da parte, andare ai giardinetti e dargli un biglietto omaggio se vuole vedere la partita allo stadio. A mio avviso è un punto molto più delicato di quello che può sembrare perché dal nuovo ruolo, e relative responsabilità, che avrà Moratti deriverà anche chi sarà operativo sul mercato, nel marketing e più in generale nell’organizzazione. Tanto per fare un nome: siamo così sicuri che Branca sia l’uomo che Thohir vuole? L’elenco delle topiche di un fedelissimo di Moratti è clamoroso e anche il lato comunicativo non è dei migliori, vedi gestione Sneijder e post Torino-Inter. I canoni della convivenza, insomma, andranno definiti con meticolosità certosina.
In casa Milan, invece, non siamo al passaggio epocale. Non ancora, almeno. Le parole di ieri sera di Barbara Berlusconi, però, sono fin troppo chiare. Non mi riferisco all’indiscrezione dell’Ansa ma alla precisazione arrivata in serata: “Nei numerosi colloqui telefonici con mio padre dopo la sconfitta con la Fiorentina ho chiesto semplicemente un cambio di filosofia aziendale per il Milan”. E chi dovrebbe essere il destinatario di questo messaggio se non Adriano Galliani, braccio destro di Berlusconi da quando Drive In doveva ancora andare in onda? Il momento negativo del Milan è in primis figlio della qualità della rosa, non all’altezza del doppio impegno campionato-Champions. E se la rosa è di livello medio è perché il mercato non è stato fatto con criterio: a cosa serviva Matri quando la difesa è imbarazzante? Perché prendere Kakà quando la squadra l’anno scorso rendeva al meglio con il 4-3-3 e costringere Ricky a sfiancarsi sulla fascia?
L’ultimo cambio di filosofia aziendale, però, non è andato granché bene: penso al passaggio da “facciamo una squadra di ultratrentenni puntando sull’esperienza” a “setacciamo i migliori Under 23 in giro per il mondo”. E’ evidente che si tratta di un passaggio traumatico per chi non è mai stato abituato a puntare in massa sui ragazzi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non so, peraltro, quanto convenga operare a stagione in corso un altro passaggio di portata ingente come sostituire un dirigente di vecchio corso come Galliani con un idolo delle folle, ma assolutamente a digiuno di gestione manageriale sportiva, come Paolo Maldini. E non so se sia più grave per i tifosi questa “faida” interna che non contribuisce affatto a rasserenare il clima nella squadra o un Galliani che a domanda su Allegri risponde guardando al passato che non c’è più: “Ricordo che veniamo da un secondo e terzo posto e siamo l’unica italiana sempre in Champions da molti anni”. A maggior ragione, quindi, l’inizio di stagione è da considerarsi tendente al fallimento.
Altro aspetto da considerare: se davvero Barbara Berlusconi ha evidenziato come i soldi siano stati spesi male senza seguire le indicazioni della proprietà, chi fu a bloccare la cessione di Pato a 27 milioni e l’arrivo sottocosto di Tevez nel gennaio 2012? Chi fu a bloccare la cessione di Thiago Silva salvo poi arrendersi alla necessità economica? A me sembra di ricordare che il cognome iniziasse per B… Questo per dire che le responsabilità della situazione attuale milanista sono di tutti, ovviamente con percentuali diverse. Ma altrettanto ovviamente a decidere sarà la proprietà, ovvero Silvio: e ad occhio, tra la figlia e l’amico di vecchia data, credo che sia più facile che prevalga la prima.
Dario Ronzulli