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22 Gennaio 2025
Serie B

COSENZA: quando la sconfitta ti fa signore

Il rituale degli spogliatoi e delle dichiarazioni a caldo post partita, nel corso degli ultimi anni è diventato un evento religioso che si può paragonare alla messa per le donne anziane: irrinunciabile.

Ci trovi di tutto in quei momenti e chi li ha vissuti sa di cosa parliamo: dalla gioia per la vittoria, alla recriminazione per un pareggio o alla rabbia per una sconfitta. E ogni tanto ci scappa anche qualche scena da “far west” utile più alle oche starnazzanti del “politicamente corretto” per sentirsi vive nelle loro giaculatorie “contro un tipo di calcio” (esistono anche tipi di calcio?) che portatrici di comprensione per chi ha ancora la tensione addosso dei novanta minuti e non può avere la testa nel ghiaccio per raffreddare all’istante i bollenti spiriti.

Novanta minuti sono un tempo irrisorio nell’arco delle ventiquattro ore, ma in Italia quel lasso di tempo diventa leggenda o vergogna in base a come è finita la partita. Potere di un paese abituato a vedere tutto pro o contro in base alla convenienza della propria parrocchia. Sempre a proposito di religioni.

Roberto Cappellacci, allenatore del Cosenza ha una particolarità che gli va riconosciuta: l’onestà e quella dose di buon senso che possono portarlo su palcoscenici insperati. Due anni a Teramo, dove ha dimostrato di valere qualcosa nel complicato mondo degli allenatori: nel 2011 torna nella città dove ha esordito da calciatore (quasi trent’anni fa: 1984) e regala gioia e vittorie, con la ciliegina di una promozione al primo colpo sfiorata e non raggiunta per un’inezia. Senza dimenticare il non plus ultra che veniva proprio dalla sala stampa del “Piano D’Accio”, dove le sue conferenze stampa hanno sempre colpito per i toni mai banali e spesso scesi su livelli non bassi, ma dignitosi. Cappellacci è così: uomo qualsiasi che si presta al teatrino del calcio, più per obbligo che per un piacere personale. Fosse per lui, il calcio non dovrebbe mai parlare. L’unico interlocutore dovrebbe essere il campo. Uno spasso per chi lo ascolta, il taccuino non sarà mai vuoto. Ma ciò che colpisce del tecnico giuliese è la sua mimica facciale.

E da questo particolare vogliamo ricollegarci a ciò che è successo non meno di quarantotto ore fa: dopo gara di Vigor Lamezia-Cosenza, sfida vinta dai biancoverdi lametini per 2-1.

In sala stampa gli odori degli spogliatoi si confondono con le voci, concitate dalla fretta di portare il pezzo “a casa” il prima possibile, altrimenti chi lo sente il direttore o il caporedattore.

Cappellacci si presenta con il volto di chi ha appena trovato una multa sulla sua macchina e prima di realizzare cosa è realmente accaduto, cerca in basso un appiglio da dove iniziare a imprecare. Il tecnico dei rossoblù non vuole alibi: la sconfitta contro la Vigor Lamezia è pesante e gli da fastidio. Soprattutto il modo.

L’alibi in sala stampa è un po’ come il prezzemolo in cucina: è sempre all’ordine del giorno. Per ogni allenatore la sconfitta o il mezzo passo falso – dipende dai casi – va sempre addossata a qualcun’altro. Responsabilità nostre? Giammai. L’arbitro, il vento, il guardalinee e chi più ne ha più ne metta: tutti, tranne i miei giocatori o l’errore di un allenatore. E’ più divertente del cabaret, alle volte, sentire le dichiarazioni degli addetti ai lavori e cercare di seguito le immagini per provare a comprendere cosa sia successo di così clamoroso da portare un allenatore a fare delle dichiarazioni così forti, con dei toni più degni di Al Pacino o Robert De Niro ne “Il Padrino” che di una sala stampa di uno stadio dove, in fondo, si è giocata una partita di calcio, non una guerra. E ti trovi a chiederti cosa abbia visto questo o quell’allenatore, talmente opposte sono le immagini rispetto alle dichiarazioni.

Cappellacci come detto, si presenta e con lo sguardo basso, si copre il capo di cenere? No. Inveisce contro i suoi giocatori? No. Fa una di quelle cose rare in un paese come l’Italia, fatto da tanti condottieri che inneggiano alla rivoluzione, salvo urlare: “armiamoci e partite miei prodi”. Prende l’armatura e non aspetta di essere impallinato dalla stampa, ma prende di petto il problema (azione rivoluzionaria pensando allo stato attuale in cui naviga certa politica) e non accampa scuse: se dobbiamo armarci, io sono il primo ad assumermi le mie responsabilità. In questo suo j’accuse, Cappellacci non dimentica di elogiare la prestazione degli avversari, che a suo dire hanno fatto una grande partita, ma un istante dopo è già pronto a prendersi la sua dose di colpe in un ko che ha lasciato strascichi inattesi.

Di esempi in cui un allenatore fa i complimenti all’avversario siamo poco abituati, ma dire chiaramente: “devo darmi una svegliata anche io, altrimenti perdiamo la bussola” è un gesto nobile. Da non confondere con la dabbenaggine.

Ammettere le responsabilità dei propri giocatori ogni tanto capita: quasi come un concerto di musica classica in prima serata sulla Rai. Rarità, se non per i sonnambuli che tra un’intervista di Marzullo e una sinfonia, scelgono quella più utile per provare a cullarsi nelle braccia di Morfeo. Ma trovare un allenatore che sa trovare dei difetti sul proprio modo di condurre la sua squadra e descrivere una sconfitta con propri limiti nella conduzione della stessa nell’arco dei novanta minuti, è più da mosche bianche che da concerto di lirica.

Un trattato di onestà intellettuale che chi non conosce Cappellacci neanche prende in considerazione oppure gli dà un peso relativo. Un gesto che nasce da un percorso di vita fatto di tanta gavetta, tanto pane duro e quella volta che arriva il momento di festeggiare, gli occhi rimangono sempre stabili e fissi al giorno dopo, quando il tozzo sarà ancora più duro di oggi.

Con la sconfitta di domenica a Lamezia, i giocatori del Cosenza hanno capito una cosa in particolare: il tempo degli alibi è finito. Cappellacci – abito da diplomatico in conferenza stampa molto stretto e si vede da come “sbiascica” i suoi pensieri – non ha più voglia di scherzare e quel suo monito: “ci dobbiamo dare una svegliata” è una chiamata al senso di responsabilità dei propri ragazzi. Il latino sotto questo aspetto ha delle perle da presentare per chiudere questo elogio di un uomo che venuto dal basso, sa che per volare bisogna avere il coraggio delle proprie azioni: “intelligenti pauca sufficiunt”.

fonte: tuttolegapro

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